Stefano Lecchini: Il sentimento del commercio

Come le recenti poesie di Giselda Pontesilli, anche questi racconti di Daniela Tomerini (<Segreti per una vita di qualità>, Il Filo) prendono disinvoltamente le mosse da una rivisitazione del concetto – si dirà meglio: del sentimento – di <commercio>. L’uomo che si inventa queste storie, e che ci si presenta per rapidi, sapidi cenni biografici nell’ <avviso> premesso a cornice, è un ex rappresentante di commercio, che presumiamo abbia lavorato nei fatidici anni in cui le aziende si riempivano la bocca – se non anche le tasche – con quel vero e proprio uovo di Colombo che era la scoperta del fattore <qualità>. Fiutato l’imbroglio, quest’uomo ha poi cambiato mestiere: ma, basta intendersi, non è che sia divenuto del tutto estraneo né alla <qualità> né al <commercio>. Semplicemente, ha scoperto che si danno altri modi – più autentici – per declinarne l’essenza. Queste pagine – i veloci, magati racconti che vi si distendono – ne offrono alcune sorprendenti declinazioni.
Riga dopo riga, la Tomerini squaderna il suo coloratissimo ventaglio di incanti: facendo sì che l’aria continui a scompigliare i tratti netti (e forse, per certi versi, esemplari) dei singoli disegni. Ora, la Tomerini non dimentica mai di abitare gli spazi angusti della città: ma proprio negli interstizi, dagli interstizi della città, e dei suoi <commerci>, vengono letteralmente <secreti> gli umori, e i <commerci>, che possono dare senso, respiro e sollievo alle nostre vite stipate lì dentro. Con una leggerezza e una fantasia che non finiscono mai di sorprenderci, prendono forma davanti ai nostri occhi treni con scompartimenti speciali per acconciare i capelli, bar dove si va per piangere e bar dove si va per ridere, supermercati da cui la nostra auto potrà uscire come nuova, metodi per ascoltare il vento e parlare ai cani, un puntuale servizio di sosia per lenire la malinconia di chi non può più incontrare le persone lontane o perdute…
Così, benché toccati in ogni parola dalla grazia (la stessa grazia straziante che incontriamo nelle pagine di Robert Walser, ma anche di due altri scrittori elvetici a noi contemporanei, Peter Bischel e Jürg Federspiel: la Tomerini, che ora vive a Milano ed è anche pittrice, nasce in Valtellina, e l’aria che ha respirato da piccola non sarà stata poi così diversa…), benché fibrillanti di continui stupori, questi racconti non possono non misurarsi con il dolore, la malinconia, lo sperperarsi delle occasioni (<quelle strane combinazioni che ci hanno fatto incontrare e poi perdere di vista>) – o con l’aridità della terra in cui pure dobbiamo camminare. Ma, semplicemente, continuano a sognare che, per ogni luce che si spegne, almeno un’altra, piccola luce possa accendersi: che l’arsura da cui siamo assediati possa venire bagnata da improvvisi zampilli di acqua freschissima: che la vita possa essere sempre un imprevisto, e che alla fine sia comunque bello ricordarsi di tutto.
Il chiarore, la freschezza, il batticuore intenso e tranquillo che ci prende di fronte all’apparire o al ritorno di un volto, e poi l’ordine – un ordine lieve in cui si riesca a respirare con naturale e felice libertà –: questi sono i doni che Daniela Tomerini non si stanca di chiedere, con caparbia umiltà, alle nostre giornate. E che intanto ha trovato qui, in questo libro: pronti a far fiorire la grazia mobilissima, lucente e leggera di ogni parola.


Paolo Lagazzi: Piccoli stratagemmi per la speranza

In uno dei testi di culto della controcultura americana degli anni Settanta, Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, Robert M. Pirsig cercava di rispondere a una domanda cruciale: cosa sia la qualità. Nessuna domanda era più urgente in un mondo in cui tutto pareva fluttuare nel regno mediatico dell’indeterminato, nel teatro dei simulacri vuoti, nella waste land dei linguaggi e dei pensieri manipolati; solo il criterio della qualità avrebbe potuto ancora fornire un approdo a quella sete di cose vere che comunque resisteva tra gli uomini. Dal momento in cui Pirsig scriveva, lo svaporare del senso della qualità si è drammaticamente ingigantito. Coraggiosamente, nei racconti riuniti in Segreti per una vita di qualità(Il Filo) Daniela Tomerini torna a confrontarsi con questo problema, ma da una prospettiva del tutto altra da quella dell’americano. Se il vertiginoso itinerario di Pirsig si squadernava fra un Oriente ipotetico e i massimi sistemi del pensiero occidentale, da Platone ai moderni, Daniela Tomerini crede che la qualità si annidi tra gli eventi e gli oggetti anche più umili: per scoprirla basta uno sguardo appena diverso, un breve salto della mente, un piccolo flash, un gesto capace di freschezza e di gioia. Quante cose, ci ricorda il suo singolarissimo libro, potremmo fare per dare un nuovo sapore e un nuovo ritmo ai nostri giorni, per rilanciarli verso altri orizzonti! Offerto dall’autrice attraverso un’amabile e bizzarra controfigura – un venditore ambulante sui generis, vagamente imparentato coi personaggi di Bruno Schulz –, questo catalogo di trovate “per una vita di qualità” snocciola idee e proposte in forma narrativa, le dispiega, cioè, dall’interno di situazioni sceniche, appunti memoriali, allegre gag o delicati e struggenti abbandoni alla rêverie; e non è solo nutriente e gratificante fantasticare su ciò che potrebbe accadere se i treni avessero un reparto speciale per i barbieri, se i marciapiedi roventi delle città estive venissero innaffiati da getti d’acqua provenienti dal sottosuolo, se i maîtresd’hôtel allestissero romantiche cene per due in cima a un albero, se società apposite fossero in grado di fornire, in certi anniversari, dei sosia per sostituire chi non c’è più: percorrendo questo diorama d’invenzioni o di sogni scopriamo di continuo l’anima dell’autrice, i suoi vissuti, le pieghe della sua solitudine e delle sue amicizie, i suoi gusti e le sue diffidenze, le forme diverse del suo rapporto con l’amore, il mistero, la bellezza e la grazia, con tutto quanto, cioè, rende la vita degna d’essere vissuta.

Come a monte del libro di Pirsig, anche dietro l’opera di Daniela Tomerini brilla uno spirito zen, ma, mentre l’americano desiderava, con l’aiuto della tradizione orientale, mostrarci le aporie del pensiero d’Occidente, la scrittrice valtellinese non coltiva alcuna ambizione filosofica; la componente zen del suo libro è radicata in  ciò che i giapponesi chiamano wabi: il sentimento di quella bellezza che si nutre di povertà, naturalezza, discrezione, understatement. Questa vibrazione di fondo illumina non solo l’opera narrativa ma anche la pittura di Daniela, sia nella sua versione “astratta”, nata da un personale ripensamento dello shodô(la via giapponese della calligrafia), sia nella figura-leitmotivdel Messaggero celeste. Essere wabisignifica molte cose per Daniela, ma anzitutto questo: riuscire a captare i soffi sottili e segreti, le scintille epifaniche, le onde energetiche che circolano anche tra i luoghi e gli attimi più inappariscenti mettendo in comunicazione la terra e il cielo, i corpi e i sogni, il visibile e l’invisibile. “Forse”, ha scritto una volta Maria Luisa Spaziani, “un Angelo parla a tutti, eppure / in quel supremo istante pochi ascoltano”. L’arte, sia pittorica che verbale, di Daniela Tomerini sgorga proprio, invece, dalla capacità di porsi in ascolto, percependo attraverso il brusio quotidiano quell’alone ineffabile, “angelico”  che circonda ogni essere, ogni evento. Solo ascoltando, solo osservando davvero si possono, d’un tratto, cogliere i fenomeni, alla cui sostanza immutabile avevamo sempre creduto, con occhi nuovi, più larghi, più liberi. Allora il mondo della cosiddetta realtà ci si rivela misteriosamente aperto e flessibile: allora i mestieri, i vestiti, gli edifici, gli strumenti, i cibi, e tutte le cose di cui ci serviamo ogni giorno, ci appaiono come una materia soffice e porosa che le nostre idee, la nostra curiosità, la nostra anima, le nostre mani potrebbero trasformare in qualsiasi momento mutando con esse la qualità del nostro vivere, dando ali alla gravità del tempo.

Se fosse possibile indicare qualche “classico” moderno come maestro ideale della Tomerini scrittrice, penserei in primo luogo a Robert Walser e al Parise dei Sillabari. Come Walser, Daniela ha sete di sentieri, piccoli azzardi, flâneries, perché sa che tutto si muove, e che solo muovendoci a nostra volta possiamo entrare in un contatto fraterno col mondo. Come i Sillabari, i suoi Segretipalpitano di un estro e di una tenerezza, a tratti anche di una malinconia e una pietà per la condizione umana, che sorprendono e confortano in questi anni plumbei, assordati dalle grancasse dell’ideologia. Riletto in controluce ai Sillabari, il libro ci schiude il suo fondo sapienziale: la posta vera di questi racconti non è forse il nostro bisogno di non rinunciare mai a credere nell’esistenza, la nostra sete di una luce che ci illumini, perfino (in “Distributore di abbracci”, forse il testo più memorabile) il nostro insopprimibile desiderio di ritrovare Dio come padre, di correre a Lui come figli prodighi verso chi credevamo perduto? Benché innervata da un simile respiro etico e da un tale sentimento del sacro, la voce che parla in queste pagine non alza mai i registri, non cade mai nel moralistico o nel predicatorio; la sua profondità non si pone mai in contrasto col piacere leggero delle superfici. Qualcosa di simile al vento che sorregge Hermes nei suoi voli, e che si potrebbe chiamare  solo humour, ironia, senso del gioco, capriccio, sposta senza tregua le traiettorie narrative invitandoci a osare, a liberarci dalle abitudini, ad assaporare con gioia tutte quelle idee, quegli espedienti, quelle invenzioni grazie a cui potremo sempre “riverniciare” a fresco la nostra breve avventura di uomini, perché, se i grandi sogni sono ardui da esaudire, spesso basta assai poco, qualche piccolo stratagemma, per riscoprire il profumo della vita, per ritrovare il coraggio, l’entusiasmo, la speranza. Così, quando un bambino rimescola i colori, la sua tavolozza gli si svela come il grembo di tutte le figure possibili. (2006-2009)