Un bimbo che mostra la sua nuova bicicletta a un albero, e gli parla, e lo abbraccia; una suora che vive sola, in un convento su un monte di un’isola lontana, e si sente libera, immortale; una macchina chiamata Filippo, molto più reale di tutte le macchine del mondo; le isole greche, con il loro sole fulgido e assoluto; e le pareti alte dei grattacieli di New York. E nuvole, e cieli, e aurore; negozietti di Chinatown, centri commerciali, stazioni; stanze dove arde il fuoco; oggetti di ogni tipo, domestici e bizzarri, che sembrano usciti da una storia di Alice. E quante valige, quanti cassetti – proprio come in uno spettacolo di magia – che si chiudono o si aprono, e nei quali è come rinchiuso un mondo che è insieme concreto e meraviglioso, visitato da angeli molto umani, o da amici speciali. Anche l’autrice di questo libro, al pari del «piccolo mago che vive in collina», gioca con le parole come fosse un bambino; anche lei, come Mary la sarta, confeziona le sue poesie senza prendere le misure, né fare prove, semplicemente aprendo il cassetto della sua mente, e mostrando ciò che contiene, nel suo labirintico stratificarsi di tempi e di luoghi, di figure e di apparizioni. «Avevo», «c’è», «c’erano, «ho visto», «ho avuto»: sono i verbi essere e avere, non a caso, i verbi-fondamento di ogni lingua, a primeggiare tra le pagine, insieme alle formule con le quali si vuole invitare chi legge («guardalo bene», «forse lo vedi», «lo dico anche a voi») a entrare in questo piccolo-immenso mondo in cui tutto si dà secondo le leggi della luce, del colore, dell’occhio che non si limita a guardare, ma si fa ciò che guarda. E ciò che si vede è un movimento verticale, che lega costantemente – con grazia lieve, delicata – l’alto al basso, il cielo alla terra, e si fa poco a poco umile canto alla vita, come quando l’autrice scrive: «fiocchi sacri cadono / su mani devote / in un giorno di pace».

Giancarlo Pontiggia